Riapre alla grande il Museo del Corso, a Roma.
Riapre con “Picasso lo straniero”, una mostra che lo racconta da un punto di vista inedito, investigandolo sì attraverso i temi artistici, ma pure d’attualità.
Un evento, dunque, che si apre a più riflessioni sui temi dell’accoglienza, dell’immigrazione e delle relazioni con l’altro.
Su quello che è considerato uno dei più grandi artisti di tutti i tempi si è detto parecchio: Picasso ha suscitato da sempre dibattiti passionali. Ma, qui, principalmente, c’è l’urgenza di fare luce sugli ostacoli che, da giovane e sconosciuto esule spagnolo, affrontò quando, a Parigi per la prima volta, era un comunissimo “straniero”, uno dei tanti che affollavano la Ville Lumière, e che, temendo l’imminente invasione nazista, inoltrò una domanda di naturalizzazione… rifiutata (otterrà la cittadinanza onoraria francese solo nel 1948).
La mostra sottolinea la dimensione politica del leader dell’avanguardia cubista, che, all’epoca dei fatti narrati, venne pure schedato come anarchico e sottoposto a sorveglianza speciale.
Nelle sale del Palazzo in via del Corso, il visitatore ripercorrerà i capitoli di una vicenda poco nota, approfondendo le turbolente dinamiche alla base del complesso legame fra Pablo Picasso e la Francia: vicende che meritavano di essere raccontate, specie perché spietatamente… all’ordine del giorno.
Picasso era: apolide, estremista di sinistra e artista d’avanguardia: quanto questi stigma influirono sulla sua produzione artistica? Se, fino al 1944, fu invisibile agli occhi della Francia (e le due, sole opere di Picasso incluse nella collezione nazionale erano mediocri), come ha fatto poi a imporre le sue rivoluzioni estetiche, in un secolo caratterizzato da grandi turbolenze politiche e in un mondo dilaniato da nazionalismi di ogni specie?
Ecco: Annie Cohen-Solal (con Johan Popelard), oltre a rivelare questa storia affascinante (che prende piede da documenti inediti, scovati negli archivi della polizia francese), prova a offrirne una nuova interpretazione, grazie a un approccio multidisciplinare e attraverso più di 90 opere (tra cui quelle di Vallauris, una produzione meno indagata). E proprio perché l’approccio artistico di Picasso si può considerare come una successione di innovazioni formali, guardando alle opere prodotte all’inizio del Novecento (tutta la serie dei “Saltimbanchi”, i soggetti che incontrava a Montmartre: all’epoca, periferia degradata, una specie di ghetto per poveri e delinquenti) o a quelle del periodo dell’occupazione nazista della Francia, l’importanza del contesto appare innegabile. Anzi, per un uomo come Picasso, l’incontro con situazioni di instabilità lo porterà a cercare nuovi interlocutori, a percorrere nuove strade, incidendo tanto sul suo temperamento quanto sulla sfera emotiva. L’occasione capitolina, perciò, diventa una sorta di “racconto biografico” che, volontariamente, abbandona l’analisi formale, e seleziona le opere tenendo a mente proprio la dimensione politica nella sua vicenda personale e creativa.
Oggi, che l’impulso alla violenza e agli estremismi è quanto mai evidente, di spunti nella rilettura della storia di Picasso ce ne sono: la sua stessa carriera in Francia fu un percorso a ostacoli, fra vittorie e sconfitte, ed è la testimonianza di come un individuo possa riuscire a muoversi in diversi contesti, elevarsi dall’emarginazione navigando correnti ostili.
Figura lontana da qualsiasi tipo di fissità, Picasso sovverte la rigida identificazione, avvicinandosi alle frontiere e attraversandole. Così, la sua storia, nella Storia, è una lezione d’ottimismo per quanti, ora, devono orientarsi in un mondo sempre più preda di totalitarismi deliranti.
La mostra è organizzata da Fondazione Roma, con Marsilio Arte.
Fino al 29 giugno 2025. Info: www.museodelcorso.com