Non si può dire che i risultati numerici di questa tornata elettorale amministrativa, nel Lazio come in tutta la nostra penisola, siano giunti inattesi come fulmini a ciel sereno, ma, per continuare con la metafora climatica, se questo inizio estate quasi autunnale consigliava prudenza nel vestire, non tutti nel centrodestra si sarebbero immaginati di dover rispolverare il cappotto di pelliccia. Diciamoci la verità, del 16 a 0 nei capoluoghi di provincia per il centrosinistra importa poco a tutti, perchè il vero dato politico di valenza nazionale lo si attendeva da Roma e da questa regione. Il responso delle urne capitoline infatti è stato forte e chiaro, oseremmo dire definitivo per molti. Dopo una netta affermazione dell’indifferenza astenzionista al primo turno infatti, seguita da una buona tenuta del candidato di centrosinistra Ignazio Marino, era palese che ci si stava apprestando ad un cambio di maggioranza in Campidoglio, con un’amministrazione Alemanno fortemente punita dall’elettorato. Tutto stava nel capire le proporzioni della vittoria e di conseguenza della sconfitta. I presagi per l’ex leader della “destra sociale” non erano certo dei migliori, quel risicato 30% raccolto al primo turno rappresentava quasi una campana a morto per un’amministrazione uscente, ma se possibile, il secondo tempo della partita è stato ancor peggiore del primo. Ignazio Marino con oltre il 60% ha praticamente doppiato il suo sfidante al secondo turno, relegando l’area di centrodestra romana ad un misero 35%. i risultati numerici diventano ancor più impietosi se si guarda allo storico cappotto raccolto dalla compagine berlusconian alemanniana nei 15 municipi, tutti inesorabilmente consegnati nelle mani del centrosinistra, inclusi anche quei fortini che avevano resistito in altri tempi alle folate di Rutelli prima e Veltroni poi. La disfatta in questo senso è ancor più bruciante perchè, non ce ne voglia il nuovo Sindaco di Roma a cui facciamo gli auguri di buon lavoro, ma lo spessore politico ed amministrativo di Marino è anni luce inferiore a quelli dei suoi predecessori di centrosinistra. Ma allora perchè questi numeri? Certamente i risultati di oggi per il centrodestra romano sono da attribuirsi ad una scarsa capacità politica ancor prima che amministrativa. Sarebbe però ingeneroso accollare sulle spalle del solo Alemanno le responsabilità di una caduta ben più ampia dei confini di un comune pur importante come Roma, ma che investe tutta una comunità politica come quella della destra Italiana, che dalla capitale ha storicamente sempre tratto le sue fortune e spesso gran parte della sua identità e capacità di iniziativa politica. La sostanziale scomparsa o ininfluenza della destra Italiana nel panorama politico di oggi vede nelle questioni romane il suo riflesso peggiore, fatto di inadeguatezze personali, incapacità di rigenerare e formare classe dirigente territoriale, nepotismo e settarismi di ogni tipo, plasticamente e drammaticamente riprodotti nelle squallide vicende di parentopoli e della selva di personaggi improbabili ai vertici della galassia di nominati e coptati nelle più disparate società a partecipazione pubblica. L’uscita dal Parlamento di colui che quella destra aveva plasmato e fatto sognare nei primi anni novanta, quel Gianfranco Fini che proprio da Roma era partito, persosi nel tatticismo istituzionale e soffocato dall’incapacità di parlare un linguaggio comprensibile al Paese, unita all’odierna sconfitta di colui che ha rappresentato forse il miglior frutto, per capacità e dinamismo, di quella che fu Alleanza Nazionale, declinata nella sua anima più identitaria, sono il segno del fallimento della classe dirigente della destra politica Italiana tutta. Come a Roma non si è stati capaci di proporre ai cittadini un modello di città che andasse oltre l’ordinaria difficile amministrazione, preferendo rispolverare in campagna elettorale vecchi slogan di “legge e ordine” i quali, dopo cinque anni di governo non possono parlare a tutto l’elettorato, così a livello nazionale, mentre ci si è preoccupati del come arrivare al potere, si è trascurato il cosa voler fare una volta acquisito lo stesso, lasciando ad altri dettare l’agenda di temi e priorità. Nella prima seduta di Consiglio Comunale, nella sala Giulio Cesare del Campidoglio, nel Pdl, siederanno solo due esponenti riconducibili all’esperienza della destra romana: Sveva Belviso e Lavinia Mennuni, due donne, e questo è il solo dato positivo, ma se ci si sofferma a riflettere non si può tacere il fatto che con la nuova legge elettorale che prevede la doppia preferenza di genere è stato oggettivamente più agevole per il gentil sesso accedere ai seggi consiliari. Nel punto più basso di Alleanza Nazionale a Roma, nel 2006 erano 10 i Consiglieri Comunali iscritti al gruppo di An, e sarebbe miope chi si riconsolasse con il pur buon risultato della lista di Fratelli d-Italia che ha eletto due suoi esponenti. La musica non cambia, e se vogliamo peggiora, se guardiamo alle due camere del Parlamento, dove gli esponenti della destra, esclusa la pattuglia dei 9 di Fratelli d’Italia si conta sulle dita di due mani. In questa ecatombe ovviamente sono rimasti coinvolti anche ottime persone e ottimi amministratori che negli ultimi cinque anni si sono fatti valere, negli uffici e tra la gente, per volontà e capacità amministrativa nell’ambito delle loro deleghe: ci piace citare ad esempio Alessandro Cochi e Andrea De Priamo, ma purtroppo le eccezioni confermano tristemente una regola di mediocrità. A caldo non si può avere la presunzione di dare ricette che a breve termine sanino un vuoto politico che potrebbe pesare e non poco sugli equilibri sociali del nostro Paese, ma non si può non sostenere una verità che è anche una necessità impellente per una comunità umana e politica a rischio estinzione: coloro che ne sono stati fino ad oggi le guide, che sono stati a vario titolo e con varie gradazioni responsabili della sua distruzione, non potranno ne ora e ne domani essere i protagonisti di una sua ricostruzione. I cittadini si sono incaricati di rottamare chi ha condotto la destra, se non si capisse la lezione e si provvedesse quanto prima a rapidi e reali passi indietro, a beneficio di chi sarà capace di riempire uno spazio politico oggi terribilmente vuoto, quella di questi giorni non sarà l’ultima e neppure la più dolorosa delle sconfitte, ma altre ne seguiranno.
Andrea Titti