Sono circa 200, ma non si tratta di una mera carrellata di opere.
“Impressionisti-L’alba della modernità”, al Museo della Fanteria di Roma, è un modo per celebrare i 150 anni del famoso Movimento attraverso i suoi protagonisti, oltre a essere un’opportunità per riflettere sulla capacità di rappresentare stati d’animo catturati da variazioni di luce, senza responsabilità accademiche.
Il progetto riunisce dipinti, disegni, acquerelli, sculture, ceramiche e incisioni (alcuni sono notevoli prestiti da collezioni private, quasi mai alla vista del grande pubblico), per parlare di quegli artisti che parteciparono alle otto mostre ufficiali definite – per l’appunto – “Impressioniste”, a partire da quella del 1874, presso lo studio del fotografo Nadar, in Boulevard des Capucines, che ne segnò l’ingresso ufficiale nel mondo dell’Arte. Questo, con una particolare attenzione alle tecniche di stampa, incisione e disegno, sperimentate in un’epoca di importanti cambiamenti, dell’avvento dell’industrializzazione su vasta scala, della nascita della fotografia e del cinema, dell’elettricità e del telefono: in breve, quanto veniva esaltato nelle celebri Expò internazionali della Ville Lumière.
In piazza Santa Croce in Gerusalemme, l’incontro con Monet, Degas, Manet, Renoir, Cezanne, Gauguin, Pissarro (ma pure David, Courbet, l’italiano De Nittis, e molti altri…) sarà possibile fino al 28 luglio 2024.
Stando ai follower, il successo di questi artis
ti non cessa di propagarsi: malgrado l’avvicendarsi di altre mode, infatti, gli impressionisti proseguono la loro marcia trionfale e la mostra capitolina si auspica di proiettare le persone in quel mondo frenetico grazie a filmati, lettere, libri e memorabilia, con uno spaccato della società dal 1850 al 1915.
Per numero di opere e celebrità degli ospiti, dunque, l’evento vuole scandagliare anche aspetti “diversi” del Movimento, che, per antonomasia, scardinò le convenzioni artistiche e sociali coeve, anticipò il futuro e aprì la strada alla “libertà creatrice”.
Il problema, però, è che il percorso espositivo (diviso in tre sezioni), snodandosi in ambienti piuttosto angusti e non sempre ben illuminati, non renda il giusto “respiro” a questo bell’insieme di lavori, che spaziano dai maestri antecedenti agli artisti aderenti alla Scuola di Barbizon, passando ai più noti e ai comprimari (Bracquemond, Forain, Desboutin), e finendo con Toulouse Lautrec, Derain, Dufy e Vlaminck.
Tuttavia, la scelta della location non deve essere stata casuale, come ha tenuto a sottolineare il critico d’arte Vittorio Sgarbi (curatore assieme a Vincenzo Sanfo): “L’Impressionismo è una condizione dello spirito e gli impressionisti sono la negazione della guerra!”. Cioè, l’arte si appropria di un museo militare per mettere fiori nei fucili in un momento storico particolare, in cui si avverte un gran bisogno di pace…
L’esposizione, prodotta da Navigare srl, è organizzata con il supporto di Gilles Chazal e Maithé Vallès-Bled.
Info: www.navigaresrl.com; www.ticketone.it