IT, il film

Federico Monti recensisce per Meta Magazine il film tratto dal romanzo di Stephen King: "Ciò che penso del film "IT" di Andrès Muschietti"

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Premesso che oramai i film horror, o forse i film nella loro generalità “filmo-
somatica”, siano (da me) apprezzabili solo a pezzi, a frammenti, a “torsi”, a
sbriciolata, a coriandolo (un film è una passeggiata a piedi nudi sulle braci, come
facevano gli “hirpi sorani” sabini sul Soratte) e non si può pretendere che in due ore
percorse nello scarponcino ortopedico della sgangherata narrazione orrorifica non si
commettano passi falsi, inciampi, smagliature, lussazioni e sbucciature stilistiche;
premesso altresì che il soprascritto non ami in modo particolare la narrativa di
King (siamo onesti suvvia… King non è Lovecraft né Shirley Jackson né, tantomeno,
Thomas Ligotti);
premesso che il soprascritto se ne sbatte bellamente delle collazioni
intermediatiche romanzo-film, insultando, quando ne ha occasione, i talebani
letteralisti del testo-radice, ossia quelli che dicono “nel libro questa scena non c’era”;
tutto questo premesso mi sono divertito un mondo in sala l’altra sera; il mio
“gulliver” al tombolo cavernoso, dalla tidale metrica di caucciù, sobbalzava per le
scosse rabbrividenti nella cambusa dei miei pantaloni come se solcasse le pelvi del
Triangolo delle Bermude su di una nave da crociera Queen Mary, sbocconcellato da
labbra ninfali della Musa del Cinema. Felice come un ebefrenico nell’accogliente
poltroncina dell’Adriano, ho trovato straordinarie le circensi metamorfosi del clown
ballerino Pennywise. Questo sinistro fauno da baraccone infiorato e ombreggiato di
rossi palloncini ominosi; questo goloso cannibale delle fobie puberali addestrato
com’è, dalla fame, ad una capacità mimetica degna di un Vertumno delle fogne, di un
Proteo-Clown delle cloache; questo agnato di Mr. Sardonicus e di Gwynplaine;
questo oscuro clown Bianco colonizzatore degli urbani intestini, in bilico sulle
proprie fauci smisurate, divoratore di se stesso nella misura in cui ha financo divorato
il Pennywise di Tim Curry che gli sta nelle viscere come un icneumone parassita
suggerendogli smorfie e battute; quest’infanticida imbonitore paidovoro; questo
misirizzi ridanciano segugio di adolescenti, che scatta e si dispiega a fulminea molla
nelle crinoline, nelle stecche e nei verdugali delle sue mandibole seghettate e nelle
gorgiere plissettate della sua insicura malvagità… Insomma, esso, la cosa, “IT” ha
mantenuto tutte le sue promesse sapendo fare ciò che meglio gli riesce: intrattenere.
 Per carità, le occasioni per criticarlo non mancano; ma non stiamo parlando di un film
di Sokurov, di un capodopera di Béla Tarr… Teniamolo a mente… E in fin dei conti
chissenefrega se “IT” è figlio di una costola eighties di “Strangers Things”. A mio
avviso, se proprio vogliamo appiattirlo nel reato di un plagio visivo, questo “IT” è
inscritto piuttosto nei lombi della mitologia necrofiliaco-bambolosa cara a James
Wan. E transeat pure se nell’ultima parte lo spauracchio di Derry si rende detestabile.
Abbiamo storto tutti il naso davanti alle derive spielberghiane o donneriane
reduplicate nella polimerasi dei “Goonies”: quelle insensate leghe di brufolosi
adolescenti armati di buona volontà che affrontano terribili mostri… Il regista a mio
modesto avviso ha sparato bene con gli archibugi e i moschetti, anzi, i Muschietti, le
sue pallottole “jokerose” di paura e divertimento… “IT” è da premiare invece per gli aspetti più superficiali, che poi sono quelli visivi, scenografici… Ho ancora negli occhi la stanza affollata di pupazzi screpolati di vecchi clown nella verusta casa… Qualcosa di sublime e sinistro come poche altre cose… E allora, inutile dire “se però avesse fatto questo…”, “se però avesse evitato quest’altro…”; “se…”, “se…”: “if…”, “if…”; piuttosto: “IT…”, “IT… IT…”.