Al MAXXI di Roma, apre la mostra di Sebastião Salgado. E l’Amazzonia si rivela un ultimo Paradiso, fra scatti e suoni ancestrali
Fino al 13 febbraio 2022, il MAXXI ospiterà la mostra fotografica: “Sebastião Salgado. Amazônia”, realizzata in collaborazione con Contrasto, e a cura di Lélia Wanick Salgado, compagna di vita e di viaggio del Maestro.
Più di 200 opere, per la tappa italiana – la prima – di un evento che girerà il mondo e che si connota come un’immersione totale nella Foresta brasiliana. I suoni registrati in loco (fruscio di alberi, grida di animali, canto degli uccelli e fragore delle acque) compongono un paesaggio a sé stante, creato ad hoc da Jean-Michel Jarre. Paesaggio che accompagna e potenzia le immagini, bellissime, di Salgado.
Per sei anni, uno dei più apprezzati fotografi contemporanei, ha viaggiato nell’Amazzonia, fotografando la foresta, i fiumi, le montagne e le persone che vi abitano, ospite di villaggi remoti, immortalando dieci gruppi etnici. Il risultato sono queste immagini decisamente impressionanti, sospese fra “le cose umane e quelle divine”.
Dopo il progetto “Genesis” (otto anni di ricerca tra montagne e deserti: un libro di 520 pagine che testimonia la differenza dei luoghi ancora non entrati in contatto con la mano dell’uomo), dunque, Salgado ha intrapreso una nuova serie di viaggi, per catturare l’incredibile ricchezza di questa parte del Pianeta che non è difficile definire paradisiaca.
Attraverso ben 48 spedizioni, con l’aiuto della Funai (Fundação Nacional do Índio, organizzazione ufficiale del governo brasiliano, responsabile della protezione dei popoli indigeni e delle loro terre), stabilendosi in quei luoghi impervi con le attrezzature, il progetto ha preso vita a poco a poco: questo presentato al museo capitolino è durato oltre un lustro, durante cui tutto è finito sotto il suo obiettivo. Un obiettivo che constata l’immensa potenza della natura e ne coglie, al contempo, la fragilità. E che, così facendo, finisce per attirare l’attenzione sulla bellezza incomparabile di questa regione, (ri)accendendo i riflettori sulla necessità di proteggere l’Amazzonia insieme ai suoi abitanti, guardiani ancestrali di un fragile ecosistema di cui tutta l’umanità ha la responsabilità di occuparsi, perché si tratta di una risorsa universale, tanto spesso aggredita dagli interessi di pochi, quanto strenuamente custodita dai suoi autoctoni.
In una dimensione ecologica moderna, non si può tacere la relazione che gli uomini hanno oggi con essa, così com’è impossibile non rimanere incantati di fronte alla fotografia di Sebastião Salgado. I suoi scatti sono uno specchio sulla realtà: formidabili, maestosi, dirompenti, e “non le mandano a dire”. Talmente vivi da non necessitare di spiegazioni, il messaggio arriva allo spettatore forte e chiaro, laddove anche i colori potrebbero distrarre.
In questo splendido quasi ottantenne, l’amore per il lavoro si traduce in bellezza e coraggio: abbracciare una causa, metterla al centro della poetica, raccontare una storia universale. Storie che, non a caso, hanno reso il suo stile inconfondibile, attraverso un bianco e nero forte, ostinato. La sua fotografia, documenta la realtà efficacemente, perché Salgado ne vuole parlare. “Dovete amare i vostri soggetti – ha spiegato in conferenza stampa a chi chiedeva come fosse possibile arrivare a tali risultati -: perché gli occhi vedono, la mano scatta, ma è il cuore che sceglie!”. La sua tecnica non nasconde le crudezze, ma, vestendole di un velo di misticità. Se la sua educazione, le ideologie politiche orientano da sempre il suo operato, la fotografia è sì vocazione, ma è pure “fortuna”, come lui stesso rivela: “Delle volte, se si ha pazienza, il momento dello scatto giusto arriva!”. Mai rassegnata, quella di Salgado è una “fotografia militante”, anche oggi che la sua missione impellente è rendere la meraviglia della Terra. E, affinchè il progresso resti in equilibrio con la foresta, un’immagine, anche quella più lirica, è: “come un appello a fare qualcosa…La foto dice: ‘Agite!’”.