Palazzo Barberini ospita la prima retrospettiva su Giuseppe Loy, fotografo per passione. Nei suoi scatti: l’Italia, la gente, la vita privata. Tutto, con metodo e sottile ironia
da Tiziana Mercurio
A quarant’anni dalla scomparsa, quella di Palazzo Barberini, a Roma, è la prima retrospettiva a lui dedicata.
Realizzata dall’omonimo archivio fotografico (con la Media Partnership di Rai Scuola), grazie alla digitalizzazione e la sistematizzazione di 1565 rullini in bianco e nero, 338 a colori, 1800 stampe e documenti, la mostra “Giuseppe Loy. Una certa Italia. Fotografie 1959-1981” raccoglie 135 stampe originali in b/n, poesie e epigrammi, scatti familiari.
Soprattutto, si attesta come una sorta di memoriale dell’Italia tra il ‘59 e l’81, che, al contempo, offre una panoramica su una vita dedicata alla macchina fotografica, usata per passione, mai per mestiere.
Fino al 27 febbraio 2022, la Sala delle Colonne e le Cucine Novecentesche delle Gallerie Nazionali di Arte Antica ospitano il repertorio di scatti di questo schivo artista sardo (romano d’adozione), vicino di casa di Burri, amico “di tiro al piattello” di Afro Basaldella e Lucio Fontana, fratello del regista Nanni, marito della scrittrice Rosetta, ironico osservatore degli italici costumi.
Spaziando dalla fotografia umanista, alla denuncia delle “mani sulla città” tra gli anni Sessanta e Ottanta, la rassegna, a cura di Chiara Agradi e Angelo Loy, ricostruisce la vita e il personale punto di vista di un autore garbato, figlio di una famiglia d’intellettuali, che ha lasciato migliaia di negativi organizzati in soffitta, riscoperti di recente dai familiari. “Ho affrontato un viaggio emotivo forte – spiega il figlio Angelo -. Per me, è stato come aprire un varco nei ricordi e iniziare a conoscere meglio mio padre. Mentre sfogliavo quanto ci aveva lasciato, pian piano ne capivo l’ordine sotteso”. Ecco, allora, che le sezioni della mostra (costruite proprio sugli appunti di Giuseppe Loy) presentano opere fuori formato per le ricercate geometrie delle inquadrature (“Davvero: il corniciaio stava impazzendo!”, confessa sorridendo Angelo), gesti rubati, insegne di botteghe, corpi d’estate, preti e ragazzine davanti al manifesto “Giù le mani da Cuba”: la vita nella sua normalità. Normalità, non banalità.
Non v’è dubbio che nulla sia a caso: c’è metodo in Loy.
I suoi “appunti visivi” si distinguono per la freschezza e l’immediatezza: senza mettere i soggetti in posa, l’occhio ricerca la verità, anche quella di realtà “minori”, perché non c’è un giudizio di merito, perché chi le realizza non è un fotografo di professione.
Il suo obiettivo si muove tra le persone. Tanti gli scatti d’epoca realizzati a Ortisei, per esempio, o sulle spiagge del litorale romano, a Civitavecchia. La fotografia di Loy è semplice, spontanea, intima: la sua cifra stilistica è la predilezione per i dettagli, le espressioni. Ha scarso interesse per la messa in scena ricercata. Tant’è che anche l’allestimento di questa mostra nei grandi spazi di Palazzo Barberini usa solo il colore delle cornici – ora bianche, ora nere – per distinguere le tematiche.
Le sue fotografie sono tessere che compongono il puzzle del nostro Paese: politicamente impegnato, la macchina fotografica di Loy è anche uno strumento di indagine antropologica. Comunista, rivolse lo sguardo – mai neutro – alle trasformazioni sociali e ai conseguenti cambiamenti sociali. E allora, ecco i ritratti dei cartelloni pubblicitari, l’estetica del consumismo, le strade asfaltate e i grandi viali deserti della periferia della Capitale. L’immediatezza dello sguardo di Loy regala un “bignami” di chi siamo stati che si ri(con)duce anche all’ambito familiare nei ritratti di figli e amici. Senza seguire un percorso tradizionale, mescolando l’alto col basso, personaggi illustri e passanti, il colto con lo sfumato, Loy è sicuramente fra i maestri dell’Informale, anche se il suo viaggio terreno, finito a soli 56 anni, sta cominciando da poco a essere conosciuto dal pubblico.
Oggi, l’Archivio Fotografico Giuseppe Loy, creato negli ultimi dieci anni e formalizzato dagli eredi (i figli Anna, Benedetta, Margherita e Angelo) in associazione culturale, conserva tanto, tanto materiale, rintracciabile all’indirizzo www.fondazioneloy.com