Querele temerarie, ne parliamo con la giornalista Chiara Rai

"Lunedì 10 gennaio sarò al Tribunale Civile di Velletri per difendermi"

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Chiara Rai, giornalista
Chiara Rai, giornalista

Querele temerarie, un’espressione che nei codici non esiste ma una realtà che si sta propagando a macchia d’olio. A farne le spese, sempre più spesso, sono i giornalisti. Definizione mutuata da Lite temeraria, che indica un’azione legale avviata con malafede, ossia con consapevolezza del proprio torto o con intenti dilatori, le querele temerarie si concretizzano quando un giornalista viene denunciato con richieste di denaro anche molto ingenti, allo scopo di inibire la sua attività, soprattutto quando si sia occupato di temi scottanti o che “diano fastidio”. Ne abbiamo parlato con Chiara Rai, storica e assai conosciuta giornalista dei Castelli Romani, che ha trattato spesso di notizie scomode e difficili da raccontare.

Recentemente abbiamo letto, sulle pagine del tuo giornale, L’Osservatore d’Italia, un tuo editoriale scritto a cuore aperto sulle cosiddette querele temerarie. Quanto ti costa il giornalismo d’inchiesta in termini morali e materiali?

 

“Prima di tutto grazie, perché interviste come questa sono coraggiose e “rompono le righe”. Fare inchiesta giornalistica la considero una vocazione, un servizio pubblico doveroso che richiede impegno, attenzione e tante verifiche. Purtroppo, sta diventando sempre più difficile continuare a farlo perché si incontrano costanti tentativi di limitare una libertà collettiva mettendo il bavaglio non soltanto a chi scrive ma precludendo una buona porzione d’informazione a chi vorrebbe leggere”;

 

Oggi un giornalista che non ha le spalle coperte da un grande gruppo, può ancora permettersi di fare giornalismo d’inchiesta?

 

“Purtroppo no. Non basta perseguire la verità sostanziale dei fatti, essere attenti, rischiare ritorsioni. Oggi si viene citati in giudizio per “la qualunque”. Dietro ci sono due principali motivi: metterti a tacere e ridurti sul lastrico così ti passa la voglia di fare il tuo mestiere e di rompere le uova nel paniere a chi vorrebbe operare nell’ombra, senza avere scocciatori tra i piedi. I grandi gruppi hanno le spalle larghe. I piccoli e liberi quotidiani che fanno inchiesta dovrebbero avere una copertura pubblica e fondi che permettano una adeguata assicurazione legale e strumenti per proseguire le grandi inchieste che richiedono tempo e denaro”;

 

Il 10 gennaio sarà per te un giorno importante. Sarai in Tribunale per una querela. Ci vuoi raccontare la storia?

 

“È una storia che parla di fondi pubblici europei e che interessa diversi soggetti. Una storia di pubblico interesse. Alcuni destinatari di fondi hanno acquistato 12 immobili a Nemi. Ho raccontato i fatti, diversi a dire il vero, ed esercitato il diritto di critica senza accusare nessuno. Sono stata querelata 2 volte per diffamazione e per due volte il pm ha richiesto l’archiviazione. Sono stata poi citata con un decreto d’urgenza in sede civile richiedendo 100 mila euro di danni per diffamazione e di cancellare tutti gli articoli. Il giudice civile non ha concesso in quella sede né la cancellazione degli articoli né il risarcimento ma ritenendo che avessi superato la continenza nella narrazione dei fatti, mi ha condannata a pagare la spese legali. Ci tengo a sottolineare però che il giudice ha scritto che i fatti da me narrati corrispondono a verità. Ora il 10 gennaio si decide sul reclamo che ho presentato avverso questa ordinanza civile che mi condanna a pagare migliaia di euro di spese legali. Un collegio di giudici del tribunale civile di Velletri dovrà riesaminare la sentenza del giudice monocratico. Una sentenza che mi sono subito affrettata a rispettare. Ho rispetto per la magistratura e mi fido dell’operato dei giudici. Sto pagando le spese legali e ho pubblicato l’ordinanza in calce ad ogni articolo. Nel frattempo, sono stata citata anche in sede ordinaria civile per il 20 aprile con richiesta di 500 mila euro di danni. La persona che mi ha citato ha chiesto anche che io non scriva più della vicenda. Sembrerebbe che, tramite lo strumento legale, si cerchi di mettermi a tacere e di farmi pagare un prezzo che non posso permettermi. Non sono ricca e il mutuo  lo paghiamo con tanto duro lavoro”;

 

Chi ti è vicino nella tua battaglia per la verità come giornalista e in Tribunale?

 

“Mio marito Ivan Galea che sta vivendo come  me questo incubo perché citato in giudizio in quanto editore del giornale online L’Osservatore d’Italia, tanti amici, la rete civica No Bavaglio con Marino Bisso, il presidente dell’ordine dei giornalisti del Lazio Guido D’Ubaldo, Stampa Romana con Lazzaro Pappagallo e credo anche tanti altri organismi di categoria che in questi giorni sono sicura non faranno sentire la loro mancanza. Un ringraziamento particolare va agli avvocati Francesca Magni del foro di Velletri e Francesco Bronzini del foro di Roma”;

 

Si parla da tanto di legge sulle querele temerarie, ma a che punto siamo?

 

“A un punto morto. La legge è ferma in Senato perché non trova accoglimento da parte di due partiti politici che di fatto hanno manifestato la loro contrarietà. Allora rimane ferma lì per evitare che finisca come la legge Zan. Resta l’amaro in bocca perché quello che mi sta succedendo e che succede a tanti colleghi è di non poter contare su una reale tutela. Oggi bisogna essere coscienti che per raccontare fatti scomodi si deve essere pronti a pagare prezzi salatissimi non solo in termini economici ma anche e soprattutto psicologici e morali. La libertà purtroppo costa molto. Fino ad ora posso dire di potermi ancora guardare allo specchio”;

 

Perché hai scelto di fare questo mestiere? Rifaresti questa scelta?

 

“Fin da piccola sono stata sempre innamorata del giornalismo. Ho sempre cercato di raccontare una verità che non si vede subito ma che rimane nascosta. Ci sarò sempre per dare voce a ciò che ritengo una “buona causa”. Se lo rifarei? Sì anche se sono consapevole che non ti rispondo a cuore leggero, ti rispondo con una buona dose di preoccupazione,  con dispiacere e rabbia perché non tollero ingiustizie simili. Rifarei questa scelta perché voglio fare compagnia ai piccoli giornalisti di provincia con la schiena dritta che non mollano. Possiamo diventare una grande famiglia e insieme, forti e fieri, contrastare chi vorrebbe piegarci. Io non ci sto, non mollo. Sono impegnata a raccontare e non voglio certo diffamare nessuno. Mia nonna diceva “male non fare, paura non avere”. Io e mio marito siamo cresciuti con dei valori mentre c’è chi invece non ha scrupoli a voler tentare di mettere una famiglia sul lastrico”;

 

Infine, cosa farai se dovessi essere condannata?

 

“È mio diritto battermi in ogni sede. Se servirà, ricorrerò fino in Europa. Voglio pensare e credere a un lieto fine. Ne riparliamo tra qualche anno, che ne dite?”.