Riccardo Cucchi ad Albano racconta Radiogol

Il giornalista di Rai Sport e voce storica di Tutto il calcio minuto per minuto Riccardo Cucchi ospite di Cambio Rotta presenta il suo libro Radiogol

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Riccardo Cucchi con Luca Andreassi e Valentino Di Prisco

Terminare una carriera giornalistica sportiva, in gran parte dedicata al racconto del calcio, senza che si sappia mai la propria fede calcistica, se non quando la si rivela pubblicamente. E’ questa la caratteristica che accomuna molti dei grandi professionisti del giornalismo sportivo italiano. Quando attendevamo 90 minuto per vedere in anteprima i gol della domenica, non sapevamo che Paolo Valenti, conduttore storico della trasmissione, fosse tifoso della Fiorentina, così come non era noto il tifo juventino di Gianfranco De Laurentis e quello laziale di Riccardo Cucchi.

Proprio quest’ultimo, voce storica di Radio Rai e tra i più apprezzati interpreti di Tutto il Calcio Minuto per Minuto, è stato nella serata di venerdì 22 Marzo ospite ad Albano Laziale, presso la locale sezione dell’Associazione Italiana Arbitri, su invito dell’associazione Cambio Rotta, per parlare di Radiogol, il libro di cui è autore.

Attraverso il racconto di una vita professionale al microfono si rivivono tre decenni di sport, fatti di imprese storiche, aneddoti e incontri personali, così come attraverso i racconti di sport si può rivivere l’evoluzione della società.

Ben 8 Olimpiadi all’attivo, da Los Angeles a Rio de Janeiro, ma ieri sera, guidata da un intervistatore d’eccezione come Luca Andreassi, la narrazione di Riccardo Cucchi non poteva che partire da quel 14 Maggio 1999 quando dal Renato Curi di Perugia Cucchi annunciò il II Scudetto della sua, ora lo possiamo dire, Lazio.

“Da quel giorno ammetto che mi capita spesso di incontrare persone per strada che porgendomi il cellulare mi dicono: “A Cucchi me lo rifai quel: Sono le ore 18:04 del 14 Maggio 1999 e la Lazio è Campione d’Italia?”. E io lo avrò rifatto centinaia di volte”.

“Per un giornalista poter dire Campioni del Mondo può essere un evento raro, o addirittura non accadere mai. Io ho avuto il privilegio di poterlo dire a Berlino quando la nazionale vinse il quarto titolo. Non avevo preparato nulla, ne se avessimo vinto ne in caso di sconfitta. Anzi ho passato la notte prima della radiocronaca insonne, e avrò chiamato mia moglie decine di volte in quei giorni per chiedere consiglio su come fare. Alla fine, durante i rigori ho deciso di ripetere: “Campioni del Mondo”, per 4 volte, volendo omaggiare chi considero un maestro come Nando Martellini che aveva reso epica quella frase ripetuta per 3 volte a Spagna 1982”.

Tra le migliaia di radiocronache calcistiche tuttavia, Cucchi ha confessato che quella a cui è più affezionato risale alle Olimpiadi di Seul 1988, ai 100 metri e a quel 9,79 di Ben Johnson.

“In quel caso raccontai un evento che sportivamente, causa positività di Johnson all’antidoping – ndr – è stato cancellato da tutti gli almanacchi, ma venni a sapere che una studentessa tenne la sua tesi di laurea proprio sulla mia telecronaca, confrontandola con altre tre, realizzate da tre colleghi di tre lingue diverse, scoprendo che io in quei 10 secondi scarsi ero stato il cronista che aveva detto il maggior numero di parole. Ne restai orgoglioso. Una radiocronaca così breve, intensa e su un evento così rilevante come la finale olimpica dei 100 metri, raccontarne lo scorrere in 10 secondi è molto complicato”.

Avere a disposizione uno dei mostri sacri di quella che resterà per sempre la trasmissione radiofonica leggenda del calcio all’italiana: Tutto il calcio minuto per minuto, per il pubblico che affollava la sala non poteva che volgere interesse e domande verso quel giornalismo ed i suoi protagonisti, a volte pionieristici, ma sempre straordinariamente capaci di scolpire le domeniche degli italiani, forse anche più degli stessi risultati che raccontavano. “Ritengo di essere stato un privilegiato – ha detto Cucchi – per aver potuto imparare il mestiere da maestri quali Enrico Ameri e Sandro Ciotti. Così agli antipodi per carattere, abitudini e caratteristiche ma così uniti nell’immaginario collettivo per la loro capacità di fare la storia del giornalismo sportivo. Ameri metodico, preciso, si recava allo stadio 4 ore prima della partita, attendendo il fischio d’inizio intrattenendosi giocando a scopone col barista dello stadio, pieno di appunti e foglietti. Ciotti arrivava in postazione microfono un minuto prima della partita, in maniche di camicia e senza neppure un foglietto o un cronometro alla mano. La Rai prima di mandarci in diretta ci dava il compito di fare da assistenti, per imparare, a loro”.

Una menzione speciale, con un affettuoso sorriso, condiviso da tutta la sala, Cucchi l’ha riservata anche ad Ezio Luzzi, leggendaria voce di quella trasmissione, epicamente nota come colui che, dai campi più sperduti delle serie minori, interrompeva i mostri sacri dai campi più importanti della Serie A, per ragguagliare, lungamente, sui dettagli degli acadimenti della serie b. Così lo ha introdotto Luca Andreassi: “A quanti è capitato durante un viaggio in macchina, ascoltando in trepidazione la gara della propria squadra del cuore, in prossimità di una galleria, con un rigore appena assegnato, sentire l’irruzione di Luzzi dall’altro capo del mondo, quasi fermare l’automobile prima di entrare in galleria, o accellerare per uscirne quanto prima, solo per sapere di quel rigore, lanciando improperi al povero Luzzi reo di avere interrotto un’emozione”

“Ezio Luzzi è stato un precursore, con strumenti tecnici arcaici, come accadeva ai tempi, di quello che oggi è il lavoro del bordocampista. Da tutti i colleghi era soprannominato Robin Hood, colui che toglie ai ricchi per dare ai poveri, per il suo interrompere i grandi per raccontare le vicende delle piccole squadre dai campi di provincia”. Ancora oggi l’ottuagenario Luzzi si sperimenta nell’editoria radiofonica romana con la consueta passione e originalità.

Siamo convinti che i giornalisti sportivi prima che cronisti siano dei narratori, con una grande responsabilità, far vivere in modo genuino le passioni alle persone con i loro racconti. Nell’era degli urlatori, dei commentatori tecnici, pensiamo che sia quantomai opportuno far conoscere o riscoprire alle giovani generazioni l’essenza di questo mestiere, uno dei più belli del mondo, perchè nell’era del consumismo social occorre imparare o reimparare a vivere alcune emozioni, derivate dai valori della cultura sportiva autentica, che solo un racconto di sport può regalare.

Di Andrea Titti