Marino.“Nanneddu meu…”, Gramsci cantato, e raccontato da d’Orsi.
Domenica 3 novembre al Teatro “Vittoria Colonna” di Marino, altro successo per la due giorni su Gramsci nella città del vino e della Sagra dell’uva. Nel buio della sala, una manciata di note viene diffusa sulle orecchie degli spettatori. Una soave voce femminile che suscita forte emozione per l’interpretazione, inanella strofe di una nenia in sardo. “Nanneddu meu su mundo ar gai”, che sta per Nanneddu (bimbetto, piccolino) mio così va il mondo. “Terra ch’a fangu torrat su poveru, senz’alimentu, senza ricoveru” che equivale a Il poveraccio è malridotto privo di cibo e senza tetto. Si alzano le luci, si illumina la scena ed il pubblico vede sul lato destro, Sandro Chiaretti alla chitarra, Umberto Trinca alla fisarmonica, e, al centro la stupenda Sara Adami. Le interpretazioni che via via seguiranno saranno il giusto contrappunto al disvelarsi del racconto di vita, di passione e sofferenza, di tumultuosità del pensiero e del suo formarsi e ri-generarsi nelle diverse fasi – ora in salita, ora fortunose, ora incredibili, fino alle drammatiche e tragiche – che hanno fatto di Antonio Gramsci uno dei più grandi intellettuali e pensatori del nostro Paese e del mondo intero. Il racconto, sulla scena viene snocciolato, senza testo scritto e senza copione controllato da alcun regista, direttamente dal prof. Angelo d’Orsi. Lo stesso che è autore del corposo, sedimentato per anni nella sua costruzione – come ha rivelato il giorno precedente a BiblioPop alla presentazione/dibattito del libro “Gramsci, una nuova biografia”. (Che, a conferma della necessità di Gramsci, anche in questa sede teatrale è stato prenotato per l’acquisto). E cosa fa l’intellettuale, studioso, profondo conoscitore della vita e dell’opera gramsciana? Angelo d’Orsi svolge il ruolo di un “quasi voce fuori campo”. Nel senso che la sua presenza, lì sulla scena a sinistra con quella piccola scrivania dove si “impersonifica con Antonio Gramsci, fino ad annunciare la propria stessa morte”, e dove pannelli posti su un cavalletto che mano a mano vengono cambiati durante le fasi di vita di Gramsci – quasi ad emulare i racconti diffusi da menestrelli e cantastorie come un riportato in vita Ignazio Buttitta – non perseguono movenze teatrali, ma nella essenzialità della scena e del messaggio, fanno emergere tutta la potenza narrativa proprio del contenuto. Contenuto fatto di vita, di sangue, di sofferenze, di viaggi, di tormenti, di gioie, e di quelle grandi negate. Fatto dei capitomboli della vita, sempre impensata fino ad un attimo prima dell’accadimento, per il nostro protagonista Antonio Gramsci. Così viene rappresentata la vera potenza che è insita in questo libro/spettacolo disvelato secondo l’artemista del racconto del pensiero. Viene da chiedersi, infatti, se non ci fossero stati quei contesti, magari Gramsci avrebbe privilegiato la sua attenzione invece che su Machiavelli, proprio su coloro che lo additarono come empio indicando che il Principe “fu scritto col dito del diavolo”: la Chiesa. Invece no, il fiume della vita di Antonio Gramsci l’ha consegnato alla storia dell’umanità al pensiero politico moderno, in tutta la sua vigoria l’ha fatto guida – ancora oggi necessaria, sottolinea ad ogni occasione Angelo d’Orsi – del pensiero marxista e della lettura e applicazione del fare politica e del perseguimento dell’egemonia, nella chiave “differenziata”, in questa parte del mondo dove c’è il capitalismo maturo. Quindi l’Italia, l’Europa, il mondo occidentale. E, attualizzando, il potente messaggio del libro messo in scena consegna ai protagonisti che vogliono scegliere di continuare ad alzare i vessilli del socialismo e del comunismo, è il forte drammatico appello all’unità nella diversità, e alla paziente costruzione di un amplissimo fronte culturale che sia base, humus, premessa, per lo sviluppo di poderosi, certi, contenuti che non possono che essere quelli della storia del movimento operaio. Non a caso, le inframmentazioni utilizzate in alternanza ai momenti del racconto (tutto svolto senza alcun sottofondo musicale) sono stati brani storici, emblematici che ogni operaio, ogni appartenente al popolo della sinistra, ogni attivista dell’idea socialista e comunista nei tempi ha avuto modo di cantare, ad una manifestazione invece che ad una festa popolare, ad un appuntamento solenne congressuale o durante l’occupazione di una scuola o di una fabbrica: “Dimmi bel giovane”, “E per la strada”, ”L’Internazionale”, “Canto dei confinati”, “Canto del martirio”, fino alla antifascista “Festa d’Aprile”, e poi, – come commenta d’Orsi – alla canzone di lotta più bella “Bella ciao”. Così, si è svolta, con applausi a scena aperta naturalmente, con pathos caldo vissuto dalla sala (in verità fredda ahinoi!), con i ringraziamenti finali affatto formali. Dell’Anpi, di Acab, di Italia Cuba, verso tutti: il pubblico, gli artisti, Angelo d’Orsi, e gli ospiti della Ambasciata di Cuba, di Italia Cuba nazionale, dell’Anpi provinciale. Per questo, dopo d’Orsi, Mauro Avello ha ricordato che continuerà il percorso culturale e politico di presenza a Marino per valorizzare sia il pensiero di Antonio Gramsci, che da oggi è ancora più vicino a noi che in precedenza, che per tutte le altre iniziative che saranno utili ad irrobustire la diffusione culturale tra compagni e cittadini, a cominciare a chi ne è più distante per ostacoli o sottovalutazioni. A Gramsci questo impegno avrebbe dato sollievo e speranza laica.