
“Al festival siparietto d’autunno abbiamo vinto la miglior regia” comincia con queste parole la nostra chiacchierata con la l’attrice e regista frascatana Silvia Faccini. In quell’ “abbiamo vinto” c’è tutta l’essenza del progetto “La Gilda dei Guitti”, della condivisione di un gruppo di 5 guitti dell’esperienza teatrale secondo la parole d’ordine “gavetta”, “passione” e “talento”. Queste sono parole di Silvia Faccini ed è il momento di lasciare spazio alle nostre domande e alle sue risposte.
Silvia Faccini, come descriverebbe ai nostri lettori la Gilda dei Guitti?
“La Gilda dei Guitti è figlia di una giovane vita passata a far gavetta per produzioni che sfruttano la passione e il talento. Nasce dalla personale esigenza di trovare altre persone stanche si essere legate a registi che hanno fatto dell’arte teatrale una mercificazione di corpi e parole (vuote). E dal bisogno di ricordare chi era il Guitto. L’istrione che ha bisogno solo di una scatola nera per immergersi e trasportare nel mondo dell’allusione e della fantasia. Parola quest’ultima troppo poco usata. Cinque ragazzi: Gianni Pasquali, Giulia Vacca, Federico Diotallevi e Silvia Costantini e la sottoscritta. Cinque folli Guitti che hanno deciso di stravolgere la propria vita per una vocazione: portare ovunque si può la magia del teatro in cui protagonista indiscussa è la competenza e la creatività”.
In un periodo di attività culturale frenetica voi come compagnia intendete fermarvi e “studiare”. Un messaggio molto chiaro e “rivoluzionario”, ci può spiegare le ragioni di tale scelta?
“Basterebbe dire che semplicemente ritengo importante essere e non apparire. Ma per non cadere nel retorico cercherò di spiegarmi. Salire su un palco comporta delle responsabilità, nei confronti del palco, dello spettacolo che si presenta, ma soprattutto del pubblico. Mi hanno insegnato che da come il pubblico entra ed esce da uno spettacolo si può determinare la soddisfazione dell’attore. Se torna a casa senza che nulla in lui sia cambiato, quello spettacolo non ha ragione di esistere. E l’attore ha fallito la sua missione. Perché di missione si parla: l’attore è colui che dona emozione. Quindi è necessario studiare cosa vuol dire emozionarsi ed emozionare. Perché non si può imbrogliare sul palco, ci sono delle responsabilità. E questo ritengo dovrebbe essere l’unico scopo di un attore. Chi fa teatro per vanità o per far soldi, farà i conti a tempo debito con la vita stessa. Perché alla fine tutti i nodi vengono al.. collo”.