Alzheimer: la riabilitazione cognitiva si fa al Museo

Il servizio di Annarita Carbone

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Si chiama museoterapia e il professor Massimo Marinetti di Roma la applica ai pazienti del Fatebenefratelli di Roma affetti da varie forme di demenza. Il primo di una serie di incontri si è tenuto lo scorso 16 dicembre presso le sale del Museo delle Arti e Tradizioni popolari di Roma e ha visto la presenza di 6 pazienti: 3 affetti da Alzheimer, 2 da Demenza Vascolare e 1 paziente affetto da Parkinson e Demenza.

La terapia del ricordo

Davanti ai vecchi utensili da cucina che si usavano nel passato, Rosaria ricorda di sua madre che faceva a mano la pasta per il giorno di Natale. Al suo ricordo si associa quello di Enrico che spiega la maniera in cui una vecchia madia può conservare il pane e gli alimenti senza che vadano a male.

Anche Roberto dice la sua sul trasporto del vino davanti al vecchio carro trainato dal cavallo pieno di botti centenarie.

E’ così che fanno terapia riabilitativa i pazienti affetti da Alzheimer del Fatebefratelli di Roma.

Diversa da come ci si potrebbe aspettare che fosse una giornata di terapia, lontana dai camici bianchi, dai medicinali e dai protocolli ospedalieri, nelle sale del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, le operatrici dell’associazione CoopAcai – Phoenix e l’equipe del Centro Sperimentale Alzheimer del Fatebenefratelli di Roma del prof. Marianetti, guidano il gruppo in un percorso rievocativo che, attraverso reperti storici e opere d’arte, mira a stimolare il ricordo.

La giornata si apre con un piccolo benvenuto. Tè e biscottini per i pazienti e per i loro familiari che aspettano intrepidi che la terapia abbia inizio, tra corsie diverse questa volta. E mentre gli operatori accompagnano il gruppo, si sente in sottofondo un brusio che nulla ha a che vedere con le attività ospedaliere ma che esprime la gioia di chi ha ancora voglia di divertirsi, di socializzare e di ricordare.

Le armi per combattere la Demenza

Ricordo e socializzazione sono infatti le due armi segrete per contrastare gli effetti di queste patologie. “Il ricordo – spiega il professor Massimo Marianetti, ha un’importanza fondamentale per la memoria, anche quando è negativo. Quello del ricordo è un grande stigma che ci portiamo dietro. Non è vero che bisogna evitare di parlare di cose del passato. Quando parliamo di persone affette da Alzheimer (che è la forma più comune di Demenza), parliamo di generazioni che sono abituate a rapportarsi con il dolore in un modo funzionale. Affrontare temi come la guerra o le perdite che si sono avute nel corso della vita, le aiuta a rapportarsi ad una dimensione di realtà che stimola l’attività cognitiva nel presente e le emozioni, sempre ovviamente in un ambito controllato e con persone che siano in grado di gestire le diverse situazioni”.

Il filo conduttore, il tema della giornata al museo con i pazienti è stata “La tavola di Natale”. In che modo si imbandisce la tavola oggi e in che modo, i nostri avi usavano imbandire la loro?

Partendo dal cibo e dal modo in cui veniva prodotto si è passati poi alla produzione e al trasporto del vino, fino alla decorazione delle tavola. Alla fine della visita ogni paziente ha creato, dipinto e decorato un piccolo centro tavola natalizio.

“Attraverso la “demoetnoantropologia”, spiega Miriam Mandosi, storica dell’arte e educatrice museale, utilizziamo la visione di oggetti di uso comune per stimolare e agevolare il ricordo. Si tratta di un approccio attraverso il quale cerchiamo di stimolare i pazienti sotto più aspetti, non solo dal punto di vista cognitivo. Ecco perché non ci limitiamo semplicemente all’osservazione e al commento dell’opera d’arte ma miriamo a mettere in atto delle attività che possano spronare anche il movimento e la manualità”.

Un momento commovente

E’ davanti ai due presepi che gli animi si ammorbidiscono di più e ognuno inizia a parlare dei ricordi di una vita mentre Francesca Pizziconi, archeologa e operatrice museale, spiega con interessanti dettagli tecnici, i collegamenti storici con le due opere d’arte.

“La grotta del monumentale presepe conservata presso il Museo – spiega la Pizziconi – è rappresentata sotto forma di templio, con delle colonne. Si tratta di una reminiscenza riguardante la scoperta di Pompei che veniva fatta proprio negli anni in cui nasceva la tradizione borbonica del presepe”. Davanti a certi dettagli sia i pazienti che i familiari interagiscono con racconti personali e arricchimenti culturali che stupiscono un po’ tutti i presenti.

“Le persone affette da Alzheimer hanno un mondo da tirare fuori che a volte può sembrare nascosto e offuscato ma che può essere tirato fuori in tanti modi” – spiega uno dei familiari presenti all’incontro”.

Come si svolge la riabilitazione cognitiva dei pazienti?

“Parlare di riabilitazione cognitiva è abbastanza riduttivo – spiega Marianetti – Quello che facciamo in ospedale è in realtà una stimolazione non farmacologica che in genere dura poco più di un’ora in cui al paziente vengono somministrati esercizi di memoria che riguardano le principali funzioni cognitive, quindi: attenzione, funzioni esecutive, linguaggio, abilità visuo spaziali. L’accento però lo poniamo anche sull’aspetto empatico ed emotivo dal quale non si può prescindere. Questo aspetto può essere stimolato attraverso una foto di famiglia, una canzone, lo spezzone di un film, un oggetto, un’immagine di qualcosa che rievoca un ricordo passato e che sappiamo riguardare un’area che noi medici definiamo “non neutra”. Nel museo, attraverso la visione delle opere d’arte, i pazienti sono portati a elaborare un pensiero, a esternarlo e condividerlo con il gruppo.

Durante l’osservazione delle opere si attivano quelli che gli esperti chiamano processi Bottom-up, cioè quelli che portano la persona a identificare il soggetto dell’opera e a descriverla per come la si vede. Ma si attivano anche i cosiddetti processi Top-down, cioè quelli che fanno emergere le conoscenze culturali della persona. Ecco perché gli esperti sono arrivati alla conclusione che l’osservazione di un’opera d’arte non è uguale per tutti ma attiva in ogni persona una attività mnemonica che stimola l’attenzione, risveglia i sensi e automaticamente migliora le condizioni di salute generale in maniera molto soggettiva.

Effetti benefici della terapia

Si tratta di una terapia a tutti gli effetti che ha degli effetti positivi, tutt’ora oggetto di studio e di pubblicazione. I benefici riguardano sia gli aspetti cognitivi che il comportamento del paziente.

– Comportamento: si riducono gli aspetti depressivi, l’apatia, l’isolamento e il ritiro per cui i pazienti sono più aperti verso il mondo esterno.

– Benefici cognitivi: migliorano la memoria, il linguaggio ma anche le cosiddette abilità pragmatiche inerenti la creatività, l’orientamento nello spazio, l’intuizione e tutte quelle abilità che ci permettono ad esempio, di capire il senso di una barzelletta o captare una sensazione. “Ecco perché molte persone che si sottopongono alla museoterapia sembrano quasi recuperare la personalità che avevano prima della malattia” – spiega Marianetti.

Un toccasana per la famiglia

Coinvolgere i familiari ha un doppio beneficio: quello di giovare al paziente che non è mai solo e quello di giovare al nucleo familiare inteso come piccolo nucleo sociale. I familiari infatti riscontrano beneficio nella relazione con la persona malata: migliora il dialogo tra loro, l’interazione e si tendono a riscoprire i rapporti e i sentimenti che erano stati schiacciati dalla malattia. Ecco perché in Canada i medici prescrivono le visite museali come terapia per cui le persone si recano al museo con l’impegnativa del medico ed entrano gratuitamente.

La terapia museale funziona anche come prevenzione. Nel Regno Unito, il progetto Art of Prescription che prevede la prescrizione di un’attività artistica da parte del medico, ha fatto emergere una netta diminuzione dell’uso di antidepressivi e una conseguente riduzione dei ricoveri.

La risposta dei familiari

Alcuni dei pazienti che hanno partecipato alla giornata di terapia sono ricoverati presso l’ospedale mentre altri sono curati in ambulatorio. La risposta delle famiglie è abbastanza buona – spiegano i medici- per cui molti familiari sono disposti ad accompagnare i loro cari in queste attività esterne.

Uscire di casa, incontrare persone, fare attività stimolanti in ambienti protetti con persone competenti e appositamente formate è un’attività psicosociale che apporta enorme beneficio.

Il professor Marianetti, insieme ai colleghi Angelo Venuti e Silvia Pinna, vista la grande richiesta di consigli e domande da parte dei famigliari per la gestione delle persone con demenza, hanno formulato una guida pratica per la gestione del paziente, tradotta in varie lingue del mondo. Ciò al fine di agevolare gli assistenti stranieri che si relazionano ogni giorno con pazienti.

Il progetto di Museoterapia è coordinato e condotto dagli educatori della CoopAcai Phoenix con il supporto dell’ANCoS Roma e Provincia e in collaborazione con Confartigianato Roma. Coinvolge anche altri musei di Roma come il Museo della Civiltà, il Parco Archeologico del Colosseo, il Museo Andersen, il Museo degli Strumenti Musicali e il Museo dell’Arma dei Carabinieri.