Meryl Streep alla Festa del Cinema di Roma

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Florence Foster Jenkins
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Florence Foster Jenkins

«Tutti vorrebbero essere italiani. Amo tutto» risponde in italiano Meryl Streep a chi le chiede cosa ama dell’Italia. E alla domanda “c’è un’attrice americana che pensa possa avere una carriera come la sua?” replica con il nome di un’italiana, Alba Rohrwacher. È profondamente innamorata del nostro paese Meryl, sbarcata alla Festa del Cinema di Roma per presentare Florence Foster Jenkins, film sulla storia della soprano statunitense divenuta famosa nonostante la mancanza di doti canore. Nel 1944 l’ereditiera Florence è tra le protagoniste dei salotti dell’alta società newyorkese. Mecenate generosa, appassionata di musica classica, con l’aiuto del marito, l’inglese St. Clair Bayfield (Hugh Grant), intrattiene l’élite cittadina con incredibili performance canore, di cui è ovviamente la star. Quando canta, quella che sente nella sua testa come una voce meravigliosa, è per chiunque l’ascolti orribilmente ridicola, ma Florence, protetta dal marito, non saprà mai questa verità. Nel film diretto dal regista Stephen Frears la Streep è una cantante ma nella vita è una donna da record: è suo, infatti, il record per il maggior numero di nomination al Premio Golden Globe e al Premio Oscar, che ha vinto tre volte, l’ultima nel 2012 per il ruolo di Margaret Thatcher in The Iron Lady. Anche in Florence Foster Jenkins veste i panni di una donna realmente esistita, per interpretare la quale ha dovuto prendere lezioni di canto, come ci ha raccontato in conferenza stampa:

Come ha preparato il personaggio di Florence?

«Non ho mai avuto un ruolo come quello di una cantante: la preparazione canora è stata significativa, per poter cantare nel miglior modo possibile»;

È struggente quando una persona mette tanta passione in quello che fa ma non ha talento, come Florence.

«Il film parla di tanti tipi di passione: il lavoro, l’amore … Cantare senza passione è un peccato grave, così come è un errore cantare senza talento, ma può essere divertente»;

Il personaggio esprime una gamma di sentimenti delicati. È un ruolo che l’ha stimolata?

«Ad animare il personaggio di Florence è uno spirito da bambina: fa i suoi spettacoli e vuole essere guardata, ammirata. Crescendo, perdiamo il senso del gioco, la capacità di immaginare la vita e le emozioni degli altri. Florence, invece, non perde tutto ciò»;

Per Florence l’arte, in particolare la musica, è una ragione di vita. Per lei, dopo quaranta anni di carriera, cos’è il cinema?

«Per me è la stessa cosa. Tutte le donne che ho interpretato meritano un posto, una collocazione: se devo raccontare la storia di una donna, devo difenderla e far vedere cosa so di lei. Non c’è mai stato un calo di entusiasmo verso la recitazione, continuerò con questo lavoro finché mi chiameranno»;

Dopo l’uscita dei suoi film legge le recensioni dei critici?

«No, perché non so mai se mi tendono un’imboscata dolorosa. Come Florence, anche io in molti casi sono stata protetta dalle critiche, è anche questo un atto d’amore, grazie al quale noi attori sopravviviamo. Spesso mio marito mi dice “è sempre tutto così bello su di te”»;

Sente il peso di essere un simbolo nel mondo del cinema?

«Sì, prima di arrivare sul set sento l’obbligo di smantellare l’artificio che mi precede, l’edificio che hanno costruito su di me. Per lavorare con gli altri devo liberarmene, la recitazione è un riconoscimento reciproco. Anche Hugh Grant ha detto che aveva paura di lavorare con me. Questo è un problema ma è anche divertente, cerco di dimenticarmene: sul set faccio errori in modo che gli altri possano dire “non è poi così brava”»;

All’ultimo Festival di Berlino era nella giuria e ha sostenuto il film Fuocoammare di Gianfranco Rosi (vincitore dell’Orso d’Oro, ndr), che ora è candidato all’Oscar tra i film stranieri.

«Sono molto orgogliosa che la giuria a Berlino abbia espresso un’opinione positiva su questo film, penso abbia un’ottima chance per gli Oscar. È un’opera unica, negli Stati Uniti abbiamo bisogno di qualcosa che ci tocchi nel profondo, che ci mostri cosa sia veramente il male: è un film che ti fa entrare e uscire da una tragedia come quella dei rifugiati»;

Ha mai voluto calarsi nella veste di regista?

«Alcuni registi con cui ho lavorato direbbero che l’ho già fatto al posto loro, ma sinceramente non ho mai sentito questa esigenza. Amo essere un’attrice, immergermi nel personaggio: non lo definirei un lavoro ma un piacere colpevole. Fin da bambina sono sempre stata molto curiosa, mi interessava sapere cosa si prova a essere altre persone. È un lavoro di indagine: se immagini la gioia o il dolore degli altri, conosci più a fondo le tue emozioni»;

C’è un ruolo che avrebbe voluto interpretare?

«Karel Reisz diede il ruolo della protagonista di Sweet Dreams a Jessica Lange, che è bravissima. Karel è un amico ma non gliel’ho mai perdonato, avrei voluto io quella parte»;

Come commenta le prossime elezioni americane?

«Non credo di dovermi pronunciare su Trump e la sua campagna sessista. Tra una ventina di giorni la nostra Presidente sarà Hillary Clinton».