Sarà visitabile fino al 6 aprile 2025, la mostra “Niki Berlinguer. La signora degli arazzi”, un omaggio a colei che dell’intreccio fece un rito, prima ancora che una forma d’arte. Un rito che si compiva ogni giorno, dalle 10 alle 20, interrotto solo dal pranzo e dalle festività passate in famiglia, come ha sottolineato la nipote Bianca, figlia del celeberrimo Segretario del PCI.
A 30 anni dalla morte, la Casina delle Civette (l’eclettica struttura voluta dal principe Torlonia e pensata come una sorta di dependance dell’omonima Villa in via Nomentana) ospita, per la prima volta, una panoramica della sua produzione in dialogo con il liberty delle vetrate e degli ambienti, disegnati, rispettivamente, da Duilio Cambellotti e Giuseppe Jappelli.
Un’esposizione che è soprattutto il frutto del lavoro di un donna emancipata, fuori dalle convenzioni femminili dell’epoca, che odiava la trasandatezza e curava i particolari in tutto: nella vita e nel lavoro. E, soprattutto, che amava ripetere quanto l’arazzo non fosse affatto da ritenere “minore”, rispetto a pittura e scultura.
Lei, che del tradurre la pittura in narrazioni tessili fu pioniera, trovò proprio in quelle trame colorate nuove dimensioni linguistiche e che, ponendosi tra il figurativo e l’astratto, seppe fondere, in esse, tradizione e innovazione.
All’anagrafe: Corinna Adelaide Augusta Fidelia, dopo il suo matrimonio con Mario Berlinguer nel 1950, incontrò, frequentò e divenne amica dei maggiori esponenti delle correnti artistiche italiane del secondo Dopoguerra. Da Mastroianni a Guttuso, da Vedova a Cagli: di loro commentò, al telaio, cartoline e disegni, senza disdegnare di reinterpretare i grandi maestri (come Klee o Van Gogh) o di dedicarsi a progetti personali e alle sperimentazioni. Capace com’era di: “rivelare possibilità impensate e nascoste nell’arte dei pittori presi a modello, mettendo in luce aspetti decorativi e astratti nei realisti e aspetti concreti e oggettivi negli astratti”, come scrisse Moravia nella presentazione di una sua personale.
Lungo il percorso espositivo (arricchito dall’ultima video-intervista dell’artista, per la regia di Maura Cosenza e le riprese di Gianni De Santis, trasmessa grazie alla collaborazione del Centro Internazionale “Antinoo per l’Arte”-Centro Documentazione “Marguerite Yourcenar”), alcuni fra i suoi lavori più interessanti: poco noti, o da lungo tempo non visibili al grande pubblico perché in collezioni private; scelti, per lo più, perché ispirati a un artista coevo, fatta eccezione per “Uccello di fuoco” e “Primavera”, la cui ideazione è di Niki stessa. Per l’occasione, poi, la Sovrintendenza Capitolina ha prestato due opere, dal museo di Palazzo Braschi e dalla collezione del MACRO.
Questi arazzi sono un unicum nel contesto culturale e storico in cui visse Niki, testimone dell’arte italiana di quegli anni, che cercò di raccontare con “ago e filo”, strumenti semplici e “antichi” di cui riconosceva le potenzialità: le sue, pur ispirate dalle opere di grandi maestri, non sono mai mere riproduzioni, ma visioni dotate di una propria individualità e di un peculiare alfabeto grafico, suggerite dal suo estro creativo.
Anche per questo motivo, una mostra di arazzi del XX secolo non è un’idea così peregrina…
A cura di Claudio Crescentini, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è organizzata e ideata da “Il Cigno Arte”, con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura.
Info: www.museivillatorlonia.it; www.museiincomuneroma.it