Riflettiamo sulla destinazione futura dell’immobile che fu del Boss Nicoletti: “non sia concesso, ma investito”.
Non possiamo che plaudire all’encomiabile lavoro svolto dalle forze dell’ordine, dalla magistratura e da tutte quelle autorità che hanno permesso la confisca e la conseguente restituzione al territorio, del “Castelletto” di Castel Gandolfo. La riconsegna alla società civile di un bene per troppo tempo nelle disponibilità del tesoriere della Banda della Magliana, fenomeno criminale incredibilmente avvolto ancora da un velo di mistero e persino di fascino grazie ad una irresponsabile campagna mediatica, non può essere considerato un fatto normale. Ecco perché, le modalità e le finalità per cui il Castelletto sarà reinvestito saranno per forza di cose un segnale forte verso tutta la comunità dei Castelli Romani. Già ci sono ipotesi sulla futura destinazione d’uso degli oltre 400 metri quadrati di immobile e l’annesso parco circostante, molti sono e immaginiamo saranno i progetti che giungeranno o sono già giacenti sulle scrivanie dell’amministrazione comunale gandolfina. Proprio a quest’ultima intendiamo rivolgere una sollecitazione, confidando nella certa loro sensibilità per le tematiche sociali che crediamo debbano essere ben prese in considerazione in tutta questa vicenda. Tutti i progetti e le ipotesi ventilate contengono certamente ottimi propositi e sicure utilità per la cittadinanza ma crediamo che ciò non basti in questa occasione. Pensiamo infatti che investire un simile patrimonio debba rappresentare un esempio per tutti, per questo stimiamo che quella struttura non possa finire esclusivamente come sede per qualcosa di statico, di consuetudinario, di normale, ma debba diventare il punto d’incontro per rigenerare una nuova cultura del sociale sul territorio. Si, fare di quella villa il punto di aggregazione per quelle realtà, associative o meno, che fanno della sperimentazione sociale e culturale il loro biglietto da visita. Un punto di formazione per disabili, un luogo di inserimento per realtà disagiate, un punto da cui far partire una nuova economia sociale che sia esempio per tutti i Castelli Romani. Siamo troppo arditi se parliamo di “Casa Famiglia”? Siamo troppo spregiudicati se auspichiamo che un simile investimento sarebbe il capovolgimento culturale rispetto a quella cultura rappresentata dai protagonisti di quella stagione criminale che si vede sugli schermi delle nostre tv, a vantaggio di quella “società nuova”, fatta di inclusione ed integrazione virtuosa, di cui la nostra Italia ha un profondo bisogno? Siamo troppo oltre se parliamo di installare tra quelle mura e quei giardini un progetto di “impresa sociale”, coinvolgendo quel mondo giovanile mai troppo considerato? Valutare uno spettro di ipotesi di questo genere significherebbe anche degli indubbi vantaggi per le casse comunali di Castel Gandolfo, le quali non sarebbero aggravate da ulteriori e pesanti spese di manutenzione e gestione dell’immobile, ma vedrebbero a costo zero, crescere sul proprio territorio uno dei primi esperimenti di economia sociale, che se opportunamente selezionata sarebbe un volano per tutti i Castelli Romani. Queste nostre righe, provocatorie forse, vogliono stimolare la riflessione al fine di giungere alla scelta più giusta per tutto il territorio e non per una sola porzione.
Autore: Andrea Titti
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