Ho il telefono scarico. L’autonomia della batteria è al 10%. Potrebbe spegnersi”. “Disattiva il bluetooth, allora. La carica ti dura di più!”.
Ecco. Fra qualche giorno non sarà più possibile. O meglio. Sarà possibile, ma sarà bene non farlo.
Avete capito. La Zona Mista di oggi è dedicata alla fantomatica app IMMUNI disponibile, forse, verso la fine di maggio. Come in quasi (avverbio inserito per educazione) tutto ciò che proviene da Palazzo Chigi, non ci abbiamo capito granché. Al netto della infinita discussione sulla privacy e tutela dei dati. Quindi le valutazioni sono necessariamente provvisorie, in attesa di approfondimenti.
Provo a riassumervi quello che ho capito. L’app IMMUNI avrà la funzione di individuare e segnalare i contatti a rischio. Il criterio è che chiunque si trovi entro due metri da una persona positiva al COVID19 per almeno 15 minuti venga avvisato attraverso messaggio.
La distanza dell’altro dispositivo viene rilevata non in maniera assoluta (ad esempio attraverso localizzazione GPS, che aprirebbe problematiche di privacy) ma in base alla potenza del segnale bluetooth.
Ognuno di noi è anonimamente caratterizzato da un codice. Il telefono si connette periodicamente al server governativo che gli comunica la lista dei codici associati ai positivi. Solo il telefono sa se uno di quei codici corrisponde a uno di quelli incontrati. Di qui nasce la segnalazione di allarme.
Qualche osservazione.
- L’installazione dell’app IMMUNI è su base volontaria. Per farci due conti significa che se la scarica il 30% dei cittadini italiani, al massimo si potranno rilevare il 9% dei potenziali contatti. Una cosa inutile, o quasi in queste condizioni. Bisogna arrivare almeno ad una copertura dell’80%.
- Vengono esclusi da questa opportunità le fasce deboli e meno garantite, ma più fragili rispetto al COVID. Gli anziani, per esempio, che, spesso, non dispongono di smartphone.
- Una volta che dovesse arrivare l’allarme che si è stati accanto ad un contagiato cosa succede? E qui interviene la retorica del nostro Governo che in alcuni casi tocca delle vette inimmaginabili.
Come in questo caso, in cui la risposta del supercommissario (uno dei tanti) Domenico Arcuri è che il soggetto “allarmato” “sarà protagonista del suo percorso sanitario”.
Protagonista. Figo no? Significherà sicuramente che verrà indicato un centro COVID dove andare a fare il tampone di controllo! Neanche per idea.
“Protagonista” significa chiudersi dentro casa, a prescindere se si sia stati contagiati o meno. Con il dubbio se comunicarlo o meno alla ASL. Perché in questo caso la privacy scomparirebbe.
- Migliaia di studi dimostrano che l’uso di soluzioni basate su tecnologie bluetooth comporta elevate vulnerabilità informatiche. Insomma, il bluetooth è l’autostrada che usano i malintenzionati per entrare nei nostri cellulari. E’ importante che i programmatori alzino gli opportuni muri di protezione.
- Di questa app non si conoscono i codici sorgente. Siamo in un’epoca open source, ormai da un ventennio. Ed i ricercatori, su vari argomenti, condividono i loro codici informatici per migliorarli e correggere eventuali errori. L’Olanda, per esempio, ha selezionato per la propria app 5 possibili società, chiedendo loro di rendere pubblici i loro codici sorgente. In quattro casi su cinque si sono riscontrati gravi errori. Ora, l’Italia sarà pure il modello da seguire, ma è pur sempre il Paese in cui i Comitato Tecnico Scientifico del Governo è arrivato a contare fino a 260 milioni di cittadini. Insomma, proprio una fiducia totale io non l’avrei.
Nel frattempo il resto del mondo si sta attivando con sistemi di tracciamento di vario genere (la Corea praticamente non ha fatto uso di app). In Francia, ma anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti, per esempio, si prevede l’impiego di vere e proprie “squadre” capaci di elaborare la lista dei contatti di un positivo, di chiamarli, di invitarli a fare il test e verificare la procedura. In Veneto il lavoro del virologo Crisanti che ha avuto un successo enorme, si è basato proprio su queste procedure.
Sono assolutamente convinto che la via di uscita da questa epidemia sia nei test e nell’isolamento delle linee di contagio che passa attraverso, necessariamente, il tracciamento (e successivo test) dei contatti del soggetto positivo. Ben venga dunque tutto ciò che va in questa direzione. Anche l’app IMMUNI.
Ma senza una adeguata capacità di test e tamponi l’app serve a poco.
Ve lo dimostro con un esempio.
Il bluetooth, ma anche il GPS, non discerne se tra due soggetti, di cui uno positivo, ci sia di mezzo un muro o una lastra di plexiglas. In questo caso l’app si attiva e manda il messaggio di allarme. Facendo correttamente il suo lavoro. Naturalmente, nella realtà, non c’è stato alcun rischio di contagio. Però, il soggetto, avvisato non è in grado di saperlo. Quindi diventa “protagonista del proprio percorso sanitario”. Solo che, non essendoci una struttura a cui rivolgersi per essere sottoposto immediatamente a tampone, il suo protagonismo non può che esplicarlo barricandosi dentro una camera. Anche se negativo. Solo che senza tampone non può saperlo.
Insomma senza la capacità del servizio sanitario, tutto si scaricherebbe di nuovo sulle spalle dei cittadini, disincentivandoli, inevitabilmente, all’uso della app.
Test, trace, treat. Ma per davvero.