La gestione economica e sanitaria della pandemia sono i nodi attorno a cui è esplosa la crisi di governo, latente da mesi e rimandata per troppo tempo. Ma questi nodi si leggono all’interno di un lungo processo di ricomposizione della geografia politica italiana, a destra così come a sinistra, che ha delle radici solide nelle ragioni profonde delle identità politiche e culturali tradizionali.
Dalla fine della prima repubblica, dividiamo i cicli in tre decenni, più il prossimo, senza la cui analisi è impossibile leggere i fatti di oggi, svincolati dalle piccinerie dei retroscena da reality show.
Se infatti gli anni ’90 sono stati quelli del bipolarismo, il primo decennio del 2000 si è caratterizzato per la nascita dei partiti unici, dal 2010 al 2020 c’è stata la crisi di Pd e Pdl che ha portato al fenomeno Movimento Cinque Stelle. Ciò che abbiamo davanti sarà il tempo della ricomposizione delle identità.
Facile a dirsi, molto meno a farsi, perché in questo lungo tormento, insieme alla politica è cambiata anche la società italiana, e non in meglio.
Proviamo ad analizzare i passaggi più nel dettaglio:
Dopo tangentopoli è servita la discesa in campo di un “uomo nuovo” come Silvio Berlusconi, che attorno a se ha facilitato la costruzione del bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra. Questo processo ha dato stabilità istituzionale e semplificazione elettorale, perché ha accellerato l’evoluzione della destra già in atto e abbattuto la cultura dell’arco costituzionale, egemone a sinistra dopo l’uscita di scena del riformismo craxiano.
Ma si sa che se una persona può innescare un processo politico, ogni processo politico non può legare la sua sopravvivenza al destino di una persona.
Ecco perché è sorta l’esigenza di far nascere il Popolo della Libertà ed il Partito Democratico: per consolidare e dare un orizzonte permanente al bipolarismo. L’esperimento però non è riuscito, perché si è puntato tutto sui contenitori e non sui contenuti, pensando che gli elettori nelle urne e non le elaborazioni culturali potessero decretare confini e profili di centrodestra e centrosinistra.
Da qui le fusioni a freddo e le liquidazioni di intere comunità politiche, in nome della vittoria elettorale, a tutto discapito della capacità di governare.
La partita per dare contenuti agli schieramenti si è spostata tutta dentro i due grandi partiti, senza più la mediazione tra soggetti alleati. Il tutto senza alcuna riforma istituzionale adatta ad un sistema poggiato sul bipartitismo.
Ne è nato un cortocircuito che, ha strozzato sul nascere ogni esperimento di dare contenuti ai contenitori, diversi dalla sommatoria dei soggetti fondatori.
Al netto degli aspetti personali, o personalistici, fate voi: sono queste le cause per cui sono naufragate miseramente le suggestioni di Gianfranco Fini e Matteo Renzi. Il primo per fare del Pdl una destra europea, liberale in economia, aperta ai diritti civili e conservatrice sui valori sociali e nazionali. Il secondo per un Partito Democratico riformista e non massimalista.
Entrambe queste proposte sono state di fatto espulse col marchio d’infamia dalle rispettive “ditte”. Su questo si è innestata l’azione dirompente del Movimento Cinque Stelle, un soggetto politico per sua natura antiparlamentare, che unitamente alla sua totale assenza di selezione di classe dirigente, ha portato l’intero sistema all’estremizzazione.
Non a caso il sovranismo è il segno che la destra di Meloni e Salvini si è dato, così come il ritorno di un massimalismo infarcito di giustizialismo caratterizza l’unione di fatto tra Pd e Cinque Stelle.
Tutti i reduci degli esperimenti innovativi di questi anni, si ritrovano oggi nel mezzo dello schieramento parlamentare. Una serie di sigle, elettoralmente marginali e non di rado tendenti alla conflittualità, che però rappresentano contenuti politici indispensabili per chiunque si voglia candidare a governare il futuro.
Se oggi questo spazio politico somiglia ad un accampamento di sconfitti, passerà da li il governo dell’Italia del prossimo decennio. E’ evidente che la destra che vincerà a mani basse le prossime elezioni, non potrà presentarsi così divisa una volta che si dovrà assumere le responsabilità di governo. Così come Conte, ennesimo leader senza partito scelto dalla solita sinistra che non può presentare il suo, si candida a rappresentare un miscuglio ideologico fatto di giustizialismo e assistenzialismo che in Italia non è mai andato oltre il 30%.
Cosa ci aspetta dunque?
Io credo che, gli stessi meccanismi che hanno generato gli opposti estremismi di oggi, metteranno tutte le forze in campo davanti alla necessità di ridefinirsi in chiave moderata e riformista. Agli apparenti sconfitti di oggi la scelta di come spendere i loro contenuti, indispensabili per tutti, nell’ambito delle offerte in evoluzione, consapevoli che ben presto i confini tra centrodestra e centrosinistra potrebbero riemergere, togliendo ossigeno alle ipotesi terze, in assenza di “uomini e donne nuovi”.