Dopo l’ultimo assassinio di una giovane donna siamo tutti impegnati a popolare le nostre bacheche social di riflessioni struggenti, soluzioni facili e parecchia ipocrisia. E’ un modo per sollevarci la coscienza da un peso che ci vede tutti un po’ responsabili di un cliche che, da molti anni, vede in vertiginosa ascesa i delitti contro: madri, mogli, compagne, fidanzate, sorelle, amiche, collaboratrici. E allora proviamo a dire ciò che non è comodo dire.
Viviamo dentro un paradosso secondo cui, mentre si fa sempre più pervasiva la giusta sensibilizzazione sulle tematiche della parità di genere, si moltiplicano esponenzialmente le campagne antiviolenza, si affina una legislazione penale tra le più condivise e avanzate d’Europa, il fenomeno dei femminicidi cresce senza soluzione di continuità. Qualcosa non torna.
L’impostazione culturale prevalente, attorno alla quale si è costruito il dibattito è sostanzialmente ferma al precetto di: “maschi contro femmine”. Uno stereotipo che, per quanto efficace ed iconico, appare vecchio, buono forse a rispolverare qualche cascame ideologico post ‘68, ma inadatto a codificare la società moderna.
Secondo alcuni influenti ambienti, il problema sta nelle identità, come se l’essere maschile o femminile sia la radice del male. Una radice da estirpare e sostituire con un nuovo modello sociale imperneato sulla fluidità. Come se la violenza risieda geneticamente in un’identità e non coinvolga invece la personalità che, questa si, è influenzata, plasmata, dai modelli sociali proposti, magari dagli stessi ambienti di cui sopra.
Ecco quindi che ci si arrovella su dispute terminologiche e lessicali, per cui se non scrivi assessora sei un potenziale criminale, se poni dubbi rispetto ad alcuni usi e costumi odierni sei un fautore del “patriarcato”.
Ecco allora che arriva la proposta dell’educazione affettiva nelle scuole, come se servisse qualcuno, magari lo Stato, a ricordarti chi tu sia o debba essere. Come se bastasse qualche ora di lezione e non il complesso intreccio tra famiglia, scuola e modelli sociali, per educare e formare una personalità.
Tutte armi di distrazione di massa, utili a non affrontare i veri problemi e le reali cause di uno stato delle cose divenuto inaccettabile.
Non è nelle identità il problema dunque, ma nei modelli sociali che tendono al loro annullamento. A tutto ciò che lavora per vanificare l’autorevolezza delle agenzie educative, a vantaggio di una non ben precisata utopia emancipazionista.
Responsabili sono coloro che si sono arricchiti attraverso l’affermazione di modelli sociali basati sull’apparire anzichè sull’essere, sul sesso e sul possesso anziché sui valori della persona umana e sulle sue diversità naturali.
Il sesso nella scala di valori moderni ha superato il potere come utopistica meta per generazioni di uomini e donne. Il sesso è divenuto unità di misura per l’accettazione sociale. Se fai sesso sei vincente, se ispiri sesso vincerai. Il sesso depurato da qualsiasi valore affettivo e sentimentale, vissuto fine a se stesso, come strumento materiale e non come valore spirituale. Il sesso che si vorrebbe insegnare sui banchi di scuola, come un equazione di algebra, come una pratica fisica e non come sublimazione di un sentimento. Il sesso come possesso: con il sesso puoi avere tutto, financo una persona, con il sesso ti puoi vendere, per avere tutto.
Il sesso facile, che ti arriva addosso ogni volta apri il cellulare, frequenti un social network, dal mattino alla sera, come un martello che ti scava la mente, capace di trasformare ogni “bravo ragazzo” in un assassino.
Il sesso facile come è facile avere tutto, secondo i signori di questo storytelling. Non più un divieto, nulla di proibito, nulla per cui sia necessario faticare, sacrificarsi, sudare,. Un truman schow che va in onda streaming sugli schermi delle nostre vite ogni giorno, vero e unico indottrinamento delle masse 2.0.
Un modello che ha sostituito il piacere del momento alla felicità dei momenti, in cui a dominare è il denaro svincolato dal lavoro, in cui il fine giustifica sempre i mezzi, in cui si è sempre pronti a fare la morale, vivendo senza alcuna moralità.
Poi però, la vita, come la natura, si prende le sue rivincite, perché esiste un mondo fuori dagli schermi, un mondo difficile, che impatta con le semplificazioni del virtuale, ed è qui che scatta il corto circuito.
Se il modello che io vedo dal telefono, dagli influencer e dai media, mi parla di una certa idea delle cose e delle persone, ma poi quando vado a mettere in pratica questi insegnamenti nella realtà non ci riesco, fallisco, mi ritrovo impotente, e solo: come la mettiamo? La mettiamo che, per le menti più fragili, ignoranti, meno strutturate, e sono molte più di quanto si possa immaginare, sono la maggioranza, scatta la reazione violenta, bestiale, mostruosa.
Verso le donne certo, primariamente, perché soggetto ed oggetto di una certa imposta sessualità, ma non solo. Il tasso di violenza ed efferatezza che emerge da certa musica, da certe sfide estreme praticate per strada, meglio se a bordo di fuoriserie, sono solo alcuni piccoli esempi.
Per tutto questo e non solo, ai soloni che ado ogni vittima ci raccontano la solita storia, diciamo che è giunto il momento di assumersi le proprie responsabilità. A partire da chi ha distrutto i concetti di autorità, rispetto, financo gerarchia, in nome di un non meglio identificato progresso etico e morale.
Avete cancellato i confini tra bene e male, giusto e sbagliato, sacro e profano. avete costruito un mondo materialista, utilitaristico, personalizzato ma disumanizzato. State producendo generazioni di depressi, psicotici, tossici, egoisti, violenti, senza cuore, ma rigorosamente più ricchi ed emancipati. Avete vinto.
Abbiate però il coraggio e la dignità di rendervi conto che il sangue su cui oggi fate finta di piangere, è il frutto avvelenato del vostro successo, e non vi basterà invocare il bonus psicologo, o qualche ora di lezione affidata a qualche piccolo apparato di clientela politica, sempre pronto a lucrare su tutto,per fuggire dal giudizio della storia.