Quando Dario Franceschini annunciò il sostegno della sua corrente ad Elly Schlein tutti pensammo che fosse stato un errore di valutazione, che avrebbe portato Area Dem per la prima volta a non essere decisiva per le sorti del Pd. I numeri delle primarie che hanno determinato la vittoria della Schlein ci hanno clamorosamente smentiti.
Un risultato sorprendente per due motivi. Prima di tutto per la partecipazione, in calo costante ad ogni primaria, ma comunque significativa se consideriamo i tempi, in secondo luogo perché per la prima volta è stato smentito il voto degli iscritti al partito nel secondo turno aperto a tutti.
La nuova segretaria ha saputo mobilitare un mondo esterno al Pd, fatto di sinistra radicale e movimentisti, affiancati a quella parte di apparato che, per sopravvivenza, ha saputo fiutare il vento, nascondendosi dietro il volto nuovo della giovane parlamentare italo-elvetica.
Il Partito Democratico ha cambiato pelle. Addio al progetto del Lingotto, che raccontava di un partito aperto e interclassista a vocazione maggioritaria, Elly Schlein tratteggia un soggetto identitario di sinistra, tutto diritti e niente doveri, che supera di fatto anche il modello del socialismo europeo, aprendo la strada ad un esperimento innovativo per l’Italia. Quello di un soggetto di sinistra radicale che si candida a guidare, e rappresentare, tutte le opposizioni.
Una sfida ai limiti dell’impossibile, ma la società odierna ci ha insegnato a non sottovalutare i processi, anche i più apparentemente incredibili.
Dall’opposizione sarà più facile nascondere le contraddizioni, ma sin da subito la nuova segreteria sarà chiamata a conciliare le spinte di estrema sinistra, grazie alle quali ha vinto, e l’esigenza degli apparati di rassicurare gli elettori che guardano al centrosinistra ma non si sentono di sinistra.
Quanto resisterà la posizione del Pd sul sostegno concreto, fatto di armi e non di bandierine al vento, verso l’Ucraina, che Letta aveva fin qui garantito ad esempio? Quale sarà il rapporto che il nuovo corso intenderà costruire con il mondo produttivo del Paese?
Due temi, quello della collocazione internazionale e della politica economica, che non sarà più possibile sfuggire, come fino ad ora abilmente la Schlein ha fatto.
Si perché una certa retorica parolaia tutta fumo e niente concreteza, che fino ad oggi è stata la cifra della giovane segretaria, è stata sufficiente per battere un pallido Stefano Bonaccini, ma non basterà per convincere la maggioranza degli italiani.
La mappa del voto di queste primarie ci consegna una sinistra divisa, ancora più marcatamente, tra metropoli e periferie, nord e sud. Una spaccatura che è sociale, di rappresentanza, tra interessi diversi, spesso in contraddizione, che richiederebbe risposte nuove, che fino ad oggi la sinistra non ha saputo interpretare.
Se è vero infatti che la vittoria di Elly Schlein potrebbe permettere al Pd di fagocitare consenso al Movimento Cinque Stelle, facendo sfumare il sogno egemonico di Giuseppe Conte, si scopre al centro, lasciando praterie di elettori potenziali ai vari protagonisti che il centro si contendono. Un centro che difficilmente sarà alleabile, su una piattaforma che considera il Jobs Act un delitto ed il capitalismo un crimine.
Certamente il fallimento più grande è quello dei cosiddetti riformisti, una platea di dirigenti e amministratori locali che, orfani di Matteo Renzi, non hanno saputo capire la fase, mandando al massacro il povero Bonaccini, vittima di una proposta debole ed una campagna troppo timida.
L’appuntamento è fissato per le elezioni europee del 2024, quando il Pd dovrà presentare un progetto serio da contrapporre alla candidatura di Giorgia Meloni alla guida della nuova Europa di centrodestra.