Elezioni europee chi vince e chi perde

Sovranisti sconfitti alle elezioni europee dove si affermano verdi e liberali mentre l'Italia di Salvini e Meloni va in controtendenza

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Parlamento Europeo 2019

Le elezioni europee del 26 Maggio hanno sancito la sconfitta del fronte sovranista nel nostro continente. Questo è il dato da cui non si può prescindere. Si attendeva l’ondata nera e l’ondata non c’è stata. Se pure con una contrazione di seggi di Popolari e Socialisti, a Strasburgo esiste una larga maggioranza europeista e unionista che andrà a disegnare il perimetro politico della nuova Commissione che verosimilmente esordirà ad Ottobre.

In Germania Alternative für Deutschland perde consensi, in Francia Marine Le Pen è primo partito ma con percentuali minori rispetto ai suoi massimi storici, avvantaggiandosi solo dall’ostinazione, rivelatasi suicida, dei Socialisti nel non partecipare alla lista repubblicana di Macron, che resta l’ago della bilancia dei nuovi equilibri politici europei. In Ungheria Orban trionfa ma con 12 eletti difficilmente potrà influenzare le qualsiasi scelta strategica dell’Unione. In Inghilterra una ampia maggioranza ha votato i partiti anti Brexit, non ostante la lista pro Brexit di Farage sia il primo partito, In Spagna i socialisti di Sanchez confermano la vittoria alle recenti politiche ed i neo franchisti di Vox si riducono al 6% dopo le percentuali a doppia cifra di due mesi fa. In Olanda i nazionalisti di Wilders addirittura non prendono seggi. Insomma solo in Italia la Lega di Salvini si afferma, ma l’indubbio successo non potrà avere alcuna influenza in Europa.

SI AFFERMANO LIBERALI E VERDI MENTRE SEGNANO IL PASSO POPOLARI E SOCIALISTI

Nel fronte unionista ci sono delle novità: è finito il bipolarismo consociativo tra popolari e socialisti. I primi che conservano un primato numerico, ma non avendo sciolto le ambiguità sulla linea politica che oscilla tra appoggi ai sovranisti e alleanze con gli unionisti, molto probabilmente perderanno la possibilità di indicare il Presidente della Commissione nella figura di Weber. E’ crisi profonda invece per il Socialisti, in caduta libera ovunque se si esclude la Spagna ed in parte l’Italia.

Della Francia abbiamo già detto, ma è la Gran Bretagna a fare la vittima più illustre in quel Corbyn che portando al 13% i Laburisti, superati da Liberaldemocratici e dai nuovi Lib Dem, sono il quarto partito inglese, davanti solo ai Conservatori in agonia. Il leader osannato anche da certa sinistra italica, paga la responsabilità di avere fatto vincere la Brexit al referendum per non aver saputo prendere una posizione chiara per il no, continuando ad essere politicamente impalpabile nella vicenda della trattativa tra UE e governo di sua maestà. In Germania i socialdemocratici passando da una grande coalizione all’altra, senza mai interrogarsi sulla ridefinizione della propria identità politica, arrivano al minimo storico del 15%. Persino la stella di Tsipras trova una battuta d’arresto.

Se le famiglie storiche hanno perso l’autosufficienza ad ottenere le preferenze degli europei sono stati i partiti ed i movimenti verdi e ambientalisti che a partire dalla Germania hanno grandemente incrementato voti e seggi, unitamente ai gruppi liberali e liberaldemocratici che, guidati da Macron, hanno trovato una nuova centralità politica.

L’ITALIA ISOLATA ED IN CONTROTENDENZA

L’Italia è l’unico tra i paesi fondatori ad avere una salda maggioranza nazionalista: sia per la vittoria nettissima di Salvini, che per l’affermazione, numericamente minore, ma politicamente più significativa, di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Più che il ribaltamento di posizioni tra Lega e Cinque Stelle, a segnare uno spostamento a destra dell’elettorato è stato lo sfondamento che il partito della Meloni ha operato ai danni di Forza Italia, specie nelle regioni del nord. Se infatti è chiaro a molti, tranne qualche giapponese nel Partito Democratico, su cui torneremo più avanti, che la parabola del Movimento Cinque Stelle si caratterizza solo per il traghettamento di elettori di sinistra su posizioni politiche di estrema destra, la sostanziale marginalità politica e numerica a cui è ridotta Forza Italia, è il segno definitivo della morte del centrodestra, sconfitto dal progetto forte di un blocco di destra nazionalista che oggi avrebbe i numeri per governare anche senza i reduci e superstiti di Berlusconi.

IL PD ALLA RICERCA DELL’ALTERNATIVA

Da tifoso juventino resto persuaso che a vincere è sempre il primo e non i secondi, per cui guardo con un certo sconcerto chi festeggia i secondi posti, o peggio, le sconfitte del suo stesso partito. Tuttavia vado oltre e osservo che il Partito Democratico con la lista Siamo Europei, ha operato uno sforzo unitario e inclusivo che ha raccolto il consenso dei suoi elettori, senza però attrarne dei nuovi. Questo ha garantito il sorpasso ai Cinque Stelle, e una nuova agibilità politica per costruire un’alternativa credibile di governo sia agli attuali gialloverdi che ai neroverdi di prossimo conio. Preliminarmente però occorre aprire gli occhi e finirla con alcune favole belle che, smentite dai fatti, se ripetute all’infinito, diventano delle cantilene insopportabili. Gli elettori Cinque Stelle non sono “compagni che sbagliano” in libera uscita che torneranno a casa appena si cacceranno da casa gli inquilini dal carattere molesto, ma persone che hanno scelto consapevolmente di sostenere piattaforme programmatiche di destra, dalle venature autoritarie e giustizialiste, ritenendole più idonee a risolvere i loro problemi. A sinistra del Pd non ci sono giacimenti di consenso in attesa di essere riconquistate alle ragioni del socialismo, ma residuati bellici ridotti a percentuali da prefisso telefonico, per lo più incompatibili e allergici al governo, per cui la Rifondazione Comunista di Bertinotti al solo paragone avrebbe buone ragioni per sporgere querela. Detto ciò, ci sarebbe un 46% di elettori che ha scelto di restare a casa, insoddisfatta delle attuali proposte in campo. Si tratta di persone non ideologiche, che votano di volta in volta le persone e le proposte che più sentono vicine, che da anni determinano chi vince e chi perde. Sono persone che non si definiscono ne di destra ne di sinistra, ma sono pronte a sostenere sia una destra che una sinistra, a patto che abbiano un’idea forte ed una leadership convincente. Si tratta di saper contendere questa fascia di elettori che non sono di centro, ma sono centrali nella nuova composizione della società. Sono persone che chiedono più sicurezza, meno tasse, uno Stato efficiente ed autorevole, una società meglio organizzata, più diritti senza dimenticare i propri doveri. I sindaci del Partito Democratico lo hanno capito, e vincono, si spera che al Nazzareno seguano a ruota in tempi brevi, perché l’unità è un valore utile se proiettata su un progetto per l’Italia e non fine a se stessa in una stasi paralizzante.

Di Andrea Titti